Quello degli atti persecutori (stalking) è il reato previsto dall’art. 612 bis c.p. che così recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

L’orientamento giurisprudenziale più recente ha ampliato l’ambito applicativo della norma ai rapporti di vicinato, anche in ambito condominiale: lo stalking, in altri termini, non è più configurabile solamente nei fenomeni di degenerazione dei rapporti affettivi, ma è configurabile anche per quelle condizioni di prossimità di vita tipiche dei rapporti di vicinato nell’ambito di un condominio.

La Corte di Cassazione ha statuito che non è necessario che la condotta persecutoria sia tenuta nei confronti della medesima persona, ben potendo il reato configurarsi “anche con riferimento agli atti persecutori ai danni di più persone coabitanti nello stesso condominio e anche quando gli atti persecutori siano diretti singolarmente a persone diverse, ma provochino uno o più degli eventi descritti dalla norma (ansia, paura, modifica delle condizioni di vita) a tutte le altre” (Cass. pen., sez. V, 7 aprile 2011, n. 20895).

In una successiva pronuncia la Corte ha ravvisato il reato di atti persecutori in ambito condominiale nei confronti del fratello abitante nel medesimo edificio (Cass. pen., sez. V, 15 maggio 2013 n. 39933). Con altra recente sentenza la Cassazione ha confermato la condanna per stalking a carico del condomino che aveva esasperato un suo vicino di casa, determinando grave stato di ansia e costringendolo a sottoporsi a terapie tranquillanti e ad assentarsi dal luogo di lavoro (Cass. pen., sez. V, 30 agosto 2016, n. 35778; Cass. pen., sez. V, 28 giugno 2016, n. 26878).

Di seguito, si evidenzia una delle situazioni tipo che possono verificarsi in un ambito condominiale. Una recente sentenza di merito ha infatti ravvisato reato di atti persecutori ai danni di due donne, madre e figlia, abitanti nella medesima scala condominiale; le molestie erano consistite nel compimento di reiterati atti vandalici, nell’uso a dispetto dell’ascensore allo scopo di impedire alle vittime di usarlo, di distacchi ingiustificati di corrente dell’abitazione dei condomini, nell’uso di epiteti nei confronti della donna e di sua figlia fortemente offensivi, nell’imbrattamento con frasi e segni osceni dell’ascensore, nel danneggiamento della serratura dell’abitazione, otturandola con la colla, infine nella simulazione di un investimento, con brusca frenata proprio a ridosso della donna. Tali condotte, del tutto prive di giustificazione, finalizzate ad arrecare disturbo, avevano riguardato anche altri condomini, ma si erano indirizzate soprattutto nei confronti dei condomini parti offese residenti nella medesima scala.

Questo atteggiamento aveva procurato a tutta la famiglia un perdurante stato di ansia, un consistente disturbo della serenità familiare e forti limitazioni nella quotidianità: i componenti della famiglia cercavano di evitare qualunque fonte di disturbo e di rumore, autolimitandosi nel vedere la TV, nell’invitare a casa parenti e amici, nell’entrare e uscire da casa, soprattutto, successivamente ai distacchi di corrente, per paura a lasciare i figli soli a casa; l’intera famiglia era stata costretta a modificare gli orari di uscita di casa, pur di evitare l’incontro con l’imputato; la famiglia si obbligava a trascorrere la maggior parte dei week end fuori casa, al fine di arrecare minimo disturbo. Infine, a causa di questo clima di ostilità e tensione, le vittime erano state costrette a trasferirsi altrove e a cambiare appartamento.

Al momento della sentenza, la situazione di pericolo era cessata e non ricorrevano i requisiti per l’adozione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 282-ter c.p.p. (Trib. Monza, 1 marzo 2018, n. 423). Possibili, infatti, anche i provvedimenti cautelari tra cui quello di non avvicinamento che, chiaramente, in ambito condominiale, acquista un effetto dirompente per essere il condomino molesto costretto ad abbandonare il suo appartamento.

In proposito, la giurisprudenza ha stabilito che è legittima la misura cautelare che impone allo stalker di allontanarsi dall’edificio in cui vive la vittima anche quando tale edificio coincide con il condominio dove lo stesso stalker abita assieme alla propria famiglia, affermando che in presenza di conclamate e non altrimenti fronteggiabili esigenze di protezione della vittima recedono anche diritti pur astrattamente soppesabili nella commisurazione dello strumento cautelare; si è quindi ritenuto irrilevante che la misura cautelare influisca negativamente sull’esercizio del diritto alla genitorialità (Cass. Pen., Sez. V, 9 aprile 2014, n. 15906). Insomma, in una parola, la vita del condomino molesto ora è divenuta assai più difficile.